Le Grotte di Frasassi

Le grotte di Frasassi sono delle grotte carsiche sotterranee che si trovano all'interno del Parco naturale regionale della Gola della Rossa e di Frasassi nel comune di Genga nella provincia di Ancona.

Il complesso è formato da una serie di grotte di cui la prima, visitabile dall'attuale ingresso, è l'Abisso Ancona: ha un'estensione di 180 x 120 m ed una altezza di 200 m; è talmente ampio (oltre 2 milioni di m3) che al suo interno potrebbe essere contenuto senza problemi il Duomo di Milano.

Storia La scoperta delle grotte di Frasassi risale al 25 settembre 1971 ad opera di un gruppo speleologico del CAI di Ancona guidato da Giancarlo Cappanera. Fa seguito ad altre effettuate negli anni 1950 e 1960 ad opera dei gruppi del CAI (Club Alpino Italiano) di Jesi e Fabriano tra cui nel 1966 una diramazione lunga più di 1 km che parte dalla Grotta del Fiume.

Nel luglio 1971 un gruppo di 7 esploratori jesini viene attratto da una forte corrente d'aria che fuoriesce da una piccola apertura. Dopo aver ampliato la dimensione del passaggio (chiamato in seguito Strettoia del Tarlo) per renderlo praticabile, gli esploratori si inoltrano in una fitta rete di gallerie, cunicoli, pozzi e grotte per una lunghezza di circa 5 km.

La prima traccia della scoperta più rilevante, quella della Grotta Grande del Vento, si avrà nel giugno 1971, quando Rolando Silvestri e Umberto di Santo, scalando la pendice nord del monte Valmontagnana, scoprirono uno stretto imbocco. Il 25 settembre 1971, Rolando Silvestri, nel corso della spedizione del di Ancona, guidata da Giancarlo Cappanera, ritrovò quell'apertura nella montagna da cui usciva un getto d'aria che fece scoprire la porta d'ingresso della grotta che fu subito battezzata Grotta Grande del Vento.

Inizialmente gli scopritori si trovarono in questa grande grotta al buio e le attrezzature allora esistenti non permisero loro di scendere fino alla base della cavità sottostante, quindi si stimò l'altezza della grotta lanciando un sasso e misurando il tempo di caduta. Un primo approssimativo calcolo portava all'inaspettata altezza di oltre 100 m. Successivamente gli esploratori si dotarono di attrezzature adeguate e esplorarono l'immenso spazio che venne chiamato "Abisso Ancona" in onore della città degli scopritori. La notizia della scoperta fu diffusa tramite stampa ed è da questo momento che inizia la notorietà al grande pubblico delle Grotte di Frasassi.

L'8 dicembre 1971 venne scoperto un collegamento tra la Grotta del Fiume e la Grotta Grande del Vento, che venne ribattezzato "Condotta dei fabrianesi".

Le scoperte si susseguirono negli anni e numerosi altri ambienti più o meno accessibili furono scoperti ed esplorati dagli speleologi. Al momento il complesso delle grotte di Frasassi ha una lunghezza di oltre 13 km. Oltre all'Abisso Ancona, sono note la "Sala 200", così chiamata perché è un corridoio di 200 metri, la "Sala delle Candeline" per le numerose stalagmiti cilindriche di piccole dimensioni circondate da un anello di roccia come le candeline su un piattino, la "Sala Bianca" il cui colore è dovuto a numerosi strati di calcite pura, la "Sala dell'Orsa" per il masso che grazie all'erosione millenaria dell'acqua ha casualmente assunto la vaga forma di un'orsa, la "Sala dei Pagliai" e la "Sala dell'Infinito", così chiamata perché ha una forma irregolarmente circolare e durante le prime esplorazioni gli speleologi persero l'orientamento e si ritrovarono a girare intorno alla sala diverse volte prima di trovare un'uscita, come se fossero in un percorso infinito.

All'interno delle grotte di Frasassi c'è una temperatura costante di 14 °C e un'umidità relativa prossima al 100%.

Stalattiti e stalagmiti [modifica]

All'interno delle cavità carsiche si possono ammirare delle sculture naturali formatesi ad opera di stratificazioni calcaree nel corso di 190 milioni di anni grazie all'opera dell'acqua e della roccia. L'acqua veicolando il biossido di carbonio nelle rocce calcaree crea un processo chimico che da origine all'idrogenocarbonato di calcio, un composto che esiste solamente in soluzione [(H2O+CO2+CACO3= CA(HCO3)]. Tale fenomeno determina il trasferimento di piccole quantità di carbonato di calcio da un posto all'altro e, nel corso di uno stillicidio che dura millenni, forma delle concrezioni di notevoli dimensioni e di forme a volte anche curiose. Queste si dividono in stalagmiti (colonne che crescono progredendo dal basso verso l'alto) e stalattiti (che invece scendono dal soffitto delle cavità).

Le forme e le dimensioni di queste opere naturali hanno stimolato la fantasia degli speleologi, i quali dopo averle scoperte le hanno "battezzate" denominandole in maniera curiosa. Tra le stalattiti e le stalagmiti più famose ricordiamo: i "Giganti", il "Cammello" e il "Dromedario", l'"Orsa", la "Madonnina", la "Spada di Damocle" (la stalattite più grossa, di 7,40 m di altezza e 150 cm di diametro), "Cascate del Niagara", la "Fetta di pancetta" (di colore rosa chiaro) e la "Fetta di lardo" (bianca, per via della calcite), l'"Obelisco" (stalagmite alta 15 metri al centro della Sala 200), le "Canne d'Organo" (concrezioni conico-lamellari che devono il nome al fatto che se vengono colpite risuonano), il "Castello delle Streghe".

All'interno delle grotte sono presenti anche dei laghetti in cui ristagna l'acqua dello stillicidio e dei "pozzi", cavità cilindriche profonde fino a 25 m che possono raccogliere l'acqua o convogliarla verso piani carsici inferiori.

Nelle grotte non penetra in alcun punto la luce naturale superficiale, pertanto l'illuminazione è completamente artificiale e utilizza solo luci bianche fredde, cioè che non producono calore verso le concrezioni. Le uniche luci non di questo tipo sono quelle azzurre usate per mettere in evidenza i pozzi e i laghetti.

link utili :

https://www.frasassi.com/

https://www.tuttocitta.it/mappa/genga/grotte-di-frasassi

https://it.wikipedia.org/wiki/Grotte_di_Frasassi

La storia della scoperta delle Grotte di Frasassi

Ecco come 50 anni fa abbiamo scoperto la “Grotta Grande del Vento” di Frasassi.

di Giancarlo Cappanera, speleologo del Gruppo Speleologico Marchigiano C.A.I di Ancona.

Un giorno di metà settembre 1971, ritornando a casa in treno da Rimini, dove lavoravo, alla Stazione di Fano incontrai Rolando Silvestri, un giovanissimo partecipante al corso di speleologia da me tenuto. Durante il tragitto verso Ancona, parlammo di tante cose, naturalmente di grotte e del fatto che da qualche tempo non frequentava con continuità le lezioni. Rolando rispose con una serie di scuse poco convincenti, poi mi disse:

“Sai Giancarlo, non è vero che ho dimenticato la speleologia; alcuni giorni fa sono stato a Genga con il mio amico Umberto Di Santo con il quale mi sono arrampicato fino all’altezza del Foro degli Occhialoni, ma nel versante opposto. Abbiamo trovato dei piccoli buchi che entravano nella roccia, uno in particolare ci è sembrato che proseguisse”.

Conoscevo bene quella zona, ma buchi “di particolare interesse” non ne avevo mai visti. L’ostinazione con la quale Rolando insistette, anche nel dubbio, mi fece sorgere alcuni sospetti che allora non avrei mai confidato a nessuno per il timore di essere giudicato, primo dai miei vecchi compagni di grotta, un credulone troppo fantasioso.

 Accantonando le mie presunzioni di “vecio speleologo”, e senza una motivazione sostenibile, feci allora l’atto di fiducia umana più ispirato della mia vita: organizzai per il sabato successivo una estemporanea spedizione di ricerca nell’ambito del Corso di Speleologia.

25 settembre 1971

Quel giorno erano con me Giancarlo Cappanera, oltre a Rolando Silvestri anche Giorgio Lacopo, Franco Ranzuglia e Massimo Cartechini.

Era sabato 25 settembre 1971 quando la spedizione da me guidata, dopo avere verificato anche altre piccole aperture, si concentrò sul buco principale trovato da Rolando Silvestri che si era presumibilmente aperto per lo scivolamento del terreno superficiale di riporto, essiccato dalle elevate temperature di quell’estate. Il foro sembrava una tana con un’entrata grande circa come un pallone di calcio e, dopo averlo liberato a mani nude dalla terra e sassi che ne ostruivano l’angusto ingresso, constatammo che sembrava veramente inoltrarsi direttamente all’interno della montagna.

Con molta difficoltà strisciammo dentro un ambiente che si allargò fino a diventare grande poco più di una stanza le cui dimensioni erano di circa 6 metri per 3. L’entusiasmo mio e dei compagni crebbe immediatamente e ci mettemmo subito a vedere se esisteva una prosecuzione che però non fu trovata. Nella stanza non si apriva nessun cunicolo percorribile.

Dissi: “Pazienza ragazzi, comunque sia è un bel risultato visto che per la prima volta, a questa altezza e con direzione verso il cuore della montagna, abbiamo trovato un’entrata a conferma della teoria dell’esistenza interna di una grande grotta”.

Era giunta l’ora del pranzo, così tutti sudati e un po’ delusi, ci sedemmo appoggiandoci ai margini della stanza.

Chi come me stava seduto nella parte più interna ebbe un’immediata sensazione di freddo dietro la schiena. Non riuscii a finire di commentare il fatto evidente che il fumo delle sigarette, fumate da due di noi, si stava disperdendo molto rapidamente nonostante l’entrata dall’esterno fosse molto piccola, quando tutti insieme gridammo:

“C’è circolazione di aria!!! la grotta ha una prosecuzione molto grande!!”

Con le sigarette accese, dopo avere dato una boccata di fumo profondissima spalancammo uno ad uno la bocca a ridosso della parete dove ero appoggiato poco prima, constatando senza ombra di dubbio, che il fumo veniva disperso violentemente a causa di un forte passaggio d’aria che fuoriusciva da alcuni piccoli fori.

Impazziti dalla gioia concentrammo tutte le nostre luci in quel punto e verificammo che parte della parete era essenzialmente formata da una paleo frana composta da materiale di riporto fortemente compattato.

Iniziammo subito a scavare con i pochi attrezzi a disposizione.

Dopo una serata di frenetico lavoro, verso le 22, sfondammo il diaframma (profondo circa due metri) nel fronte di frana che ostruiva il “Passaggio del Vento. Nessuno riuscì ad infilarsi dentro il piccolo buco di pochi centimetri  che eravamo riusciti ad aprire. All’interno non si vedeva quasi nulla, intravedemmo solo una piccola porzione di parete anche perchè il vento era tornato a circolare in maniera così violenta che spegneva tutte le lampade ad acetilene ed impediva quasi di tenere gli occhi aperti.

Una meravigliosa sensazione che dopo tanto tempo, ho ancora presente e “viva” sul mio volto.

Era fatta, eravamo certi di avere intrapreso la via per entrare all’interno della montagna. Urla, preghiere, salti incontrollati e una gioia incontenibile ci pervase.

” Che nome mettiamo alla grotta? “

Nell’indecisione generale, ahimè, proposi di chiamarla “Grotta del Vento”, un nome nella logica degli eventi ma che in seguito la grotta stessa ci dimostrò essere troppo comune e banale tanto che cercammo, anche per la necessità di distinguerla da altre cavità con lo stesso nome, di nobilitarlo con l’aggiunta, in modo questo si azzeccato, del termine “Grande”.

Quello che scopriranno di lì a poco: Grotta Grande del Vento e i Giganti

2 ottobre 1971

Sabato 02 ottobre tornammo attrezzatissimi (ed in massa) con palanchi, picconi, pale, scalpelli e martelli. Dopo essere in breve riusciti ad allargare sufficientemente il cunicolo Fabio Sturba, il nostro più bravo esperto in strettoie, liberandosi di quasi tutti i vestiti e con un coraggio da leone, riuscì ad entrare faticosamente nel buco. Dopo alcuni istanti di silenzio assoluto, avendolo visto scomparire, preoccupati urlammo il suo nome.

Ancora secondi di terribile silenzio, poi sentimmo Fabio che… rideva a crepapelle!!!

“Continua, continua ragazzi! …potete entrare tutti…! “

“E come?”, chiesi.

Fabio rispose: “passatemi un palanchino, abbiamo fatto lo scavo fortunatamente sulla sommità della frana, sopra la volta ci sono solo 20, 30 centimetri di materiale”.

Sfondata la volta, in un batti baleno passammo tutti dal “passaggio del Vento”.

Le pareti nere e le pisoliti rinvenute nel primo piccolo ambiente visitato ci dissero chiaramente che la strada era quella buona…

Dopo pochi metri ci disperdemmo, alla ricerca di un passaggio, in una bella e grande sala che puntava verso l’interno di Valmontagnana.

Arrivati urlando in un grande balcone, poi battezzato “Sala del Trono”, scendemmo, anzi ci… gettammo in un pozzo di circa 10 metri alla cui base, poco dopo, raggiungemmo un enorme baratro: eravamo giunti sul Pozzo poi battezzato, per acclamazione ed in onore della nostra città, “Ancona“.

Dopo il ripetuto rituale ” lancio del sasso “, tendente a stabilirne approssimativamente la profondità, per la sensazione di avere trovato un salto “quasi senza fondo”, nell’euforia, sul momento lo definimmo erroneamente “abisso”.

Applicando con un calcolo mentale una nota formula matematica, i secondi passati prima di sentire il rumore del sasso contro la base ci fecero stimare che il vuoto di fronte a noi era profondo almeno  100 metri.

Avevamo raggiunto il cuore della grotta, molti di noi piangevano dall’emozione, ed io non dimenticherò mai la felicità che prorompeva dai volti dei miei compagni.

18 ottobre 1971

Sabato 16 ottobre Bolognini, Sturba, Cappanera e Gambelli, con l’aiuto e lo sforzo determinante di altri diciotto compagni restati in appoggio sul bordo del pozzo, effettuarono la prima grande spedizione esplorativa.

Alcuni di “quelli dell’impresa” 40 anni dopo

Ad una prima stima, il pozzo Ancona creatosi a forma di cono rovesciato e al centro del quale quasi eravamo discesi, risultava incredibilmente alto, oltre 200 metri e con un diametro di base che superava i 150.

“La maestosità delle stalagmiti giganti ci lasciò sbalorditi, di fronte a loro restammo ammutoliti”

La cavità proseguiva con una meravigliosa sala lunga oltre duecento metri, poi, arrivati alla “Sala delle candeline“, il nostro stordimento emozionale arrivò alle stelle.

“Abbagliati dalle splendide, candide visioni che da ogni lato ed in ogni direzione si presentavano di fronte a noi, vagammo ammutoliti camminando su immacolati pavimenti di cristallo che il nostro cuore non voleva calpestare ma le nostre gambe violavano senza sosta all’inseguimento affannoso delle scoperte dei nostri occhi”.

I primi esploratori

Il nostro lavoro era appena incominciato, le dimensioni del complesso indicavano che ci sarebbero volute decine di anni per esplorare tutta la Grotta Grande del Vento. Ancora oggi nel 2021, siamo lontani dal termine, il Complesso Fiume-Vento certamente si potrà sviluppare enormemente, oltre i circa 30 Km esplorati, quando come tanti speleologi ricercano, sarà trovato il collegamento che teoricamente dovrebbe esistere, con la quasi sovrastante Grotta del Buco Cattivo.

Mi chiedono spesso quali vantaggi abbiamo ottenuto dopo la scoperta della Grotta Grande del Vento e precedentemente, della collegata Grotta del Fiume: non ne abbiamo chiesto nessuno! Dal magnifico territorio di Frasassi abbiamo preso solo fotografie e lasciato unicamente le impronte dei nostri scarponi.

Aver dato la possibilità a tanta gente di provare ” emozioni ” ci ripaga di tutto.

La soddisfazione di quello che abbiamo fatto ci è bastata anche perché la straordinaria esperienza vissuta ha cambiato, certamente in senso positivo e  in vari modi, la nostra vita oltre a quella di tanti cittadini di Genga.

Infatti il risultato del nostro lavoro è stato il punto di partenza per il riscatto economico del territorio di Genga, già allora tanto bello ma poverissimo che, in seguito alla nostra scoperta, si è sviluppato in una comunità molto prosperosa traendo profitto dal fatto che le Grotte di Frasassi sono divenute uno dei poli più importanti del turismo marchigiano, oltre che un vanto del nostro patrimonio naturalistico nazionale.

A noi speleologi del G.S.M rimane ancora un sogno da vedere realizzato, quello di sapere che le Grotte di FRASASSI sono state iscritte alla lista del “Patrimonio Naturale Mondiale dell’Umanità UNESCO”. Siamo tutti impegnati in questo progetto perchè solo così saremmo certi che si tramanderà veramente il senso profondo della nostra passione ottenendo, come scopritori, anche la garanzia di avere contribuito a preservare per le future generazioni una meraviglia della natura marchigiana.

 

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